Il punto di Vittorio Bosio del 17 gennaio 2019


Senza lo sport di base solo un drammatico deserto sociale

La forza di un progetto si vede nei momenti critici.
Esattamente come quello che stiamo attraversando in questi mesi con la diversa interpretazione della proposta sportiva nazionale tra il Coni di Giovanni Malagò e il Governo italiano che ha varato sostanziali modifiche normative alla struttura direttiva del Comitato Olimpico su proposta in particolare del Sottosegretario con delega allo Sport, onorevole Giancarlo Giorgetti. Non dobbiamo avere timore del confronto schietto e delle contrapposizioni, ma comunque dobbiamo cercare di arrivare ad un momento di dialogo che permetta alle diverse visioni della gestione sportiva generale di fare sintesi e di procedere, tutti compatti, nella valorizzazione di un mondo che è fondamentale nella società italiana. Siamo indubbiamente in un momento di crisi perché chiamati a dialogare su diverse idee dell’organizzazione sportiva per decidere quale sia la migliore. Non sarà certo quella del più forte o del più ricco, ma quella più adatta e possibilmente più efficace a far crescere, attraverso la pratica sportiva ed un corretto stile di vita, tutta la società. Sono fermamente convinto che lo sport in Italia abbia un impatto sociale fondamentale ed un ruolo vastissimo: educativo, formativo, aggregativo, agonistico.
Abbiamo bisogno di uno sport che faccia sognare giovani e non più giovani; abbiamo bisogno di campioni. È quindi indispensabile un Coni all’altezza del proprio compito. Ma non avremo mai campioni se prima non avremo seminato e coltivato il terreno dello sport che parte dal basso, lo sport a misura di persona, proposto e gestito da miriadi di piccole società sportive, popolate da dirigenti eroici, ben coscienti di non avere spesso nulla da guadagnare ma molto da spendere, ai quali da sempre lo Stato, in forma esplicita o implicita, ha affidato un compito entusiasmante ma difficile.
Siamo tutti consapevoli che un giovane diventa campione attraverso un processo selettivo che però non deve soffocare la personalità dell’atleta, ma esaltarne le qualità, mettendo al suo servizio, che sia di sport individuale o di squadra, le migliori competenze esistenti sul territorio. Evitiamo però l’errore di pensare che un allenatore di settore giovanile, di qualsiasi disciplina, sia meno importante. Oppure che un presidente di società sportiva – che tiene insieme, lontano dai pericoli della droga, dell’alcool, del bullismo, e di tante altre deviazioni, generazioni e generazioni di bambini, bambine, ragazzi e giovani – sia meno decisivo nella crescita della comunità. Sono due modalità diverse ma correlate di servire la Nazione. Senza campioni non c’è emulazione, non c’è spirito di sacrificio, non c’è gloria nazionale.
Senza lo sport di base, degli oratori, delle piccole società sportive, delle associazioni periferiche, non c’è più niente. Solo un drammatico deserto sociale. Mi auguro che chi sta lavorando per la riorganizzazione dello sport in Italia abbia a cuore questi valori e nulla altro.